Chi ha dimenticato la porta aperta?

Si dice che tutti almeno una volta nella vita formulino consapevolmente o meno il pensiero di voler uccidere i propri genitori. Io consapevolmente non l’ho mai pensato. Inconsapevolmente vai a sapere. È un po’ come chiedersi perché alla fine uno vada a ritrovarsi sempre nello stesso tipo di situazioni. Una volta ho mollato tutto e sono andata a vivere per un anno in Spagna per uscire dalle mie situazioni. Ricordo il momento in cui, dopo i primi mesi di adrenalina, mi sono dovuta dolorosamente rendere conto che tutto ciò che non mi piaceva della mia vita si stava miracolosamente ricreando. Ma com’è possibile? Credevo che mollare tutto e tutti bastasse per cambiare le cose. E invece guarda, il copione sembra lo stesso di prima. Solo gli attori sono cambiati. Tutti gli attori tranne il protagonista. Eppure per cambiare le cose mi dovevo rendere conto che ero stata davvero io a crearle. Non era colpa dei genitori, non era colpa di amicizie sbagliate o di una città che credevo di non amare. Era colpa mia. O per lo meno, in quel momento, nuda come un verme  con la pelle d’oca davanti allo specchio perfetto delle esperienze, ho capito che cosa stavo facendo e cosa non volevo più fare. È in quel momento che ho trovato il modo per cambiare le cose. Semplicemente perché sono riuscita a vederle per quello che erano. Dura, è stata dura. Per cambiare le cose ho dovuto anche ritrovarmi in mezzo ad una tempesta, di notte, in cima ad un monte su un’isola delle Canarie, in bilico sull’orlo di un precipizio circondata da piantagioni di banane, alla guida di una vecchia Mercedes col sedile bloccato troppo indietro per me, imprestata da un baffuto pappone canario. Se ripenso a quel momento è come se fossi ancora lì, con il vuoto sotto, tra il cielo e il buio con una lacrima di paura lungo le guance. Non so come, ma sono comunque riuscita a mantenere il sangue freddo (l’ho perso di più per lo scarrafone) e sono riuscita a fare marcia indietro. Ero salva, ero viva eppure mi sono sentita terribilmente sola perché nessuno in quel momento era abbastanza lucido per capire cosa fosse successo, cosa avessi rischiato. In quel momento ho accettato per la prima volta quella solitudine con la consapevolezza che qualcosa, qualcuno, mi aveva salvato perché avevo ancora un sacco di cose da fare. In quel momento ho capito che c’è un solo modo per cambiare il proprio destino: spezzare le catene. Si, perché se non spezzi le catene tutto si ripropone, in eterno, generazione dopo generazione, malattia dopo malattia, ossessione dopo ossessione. Ma basta spezzare un solo anello e tutto cambia e cambierà per sempre, per te e per chi verrà dopo di te. Non è stata la Mercedes a farmi spezzare la mia catena, è stato tutto quello che è venuto prima: una difficile fuga dalla mia trappola e da quella delle mie generazioni. E non sempre c’è bisogno di un martire per capire. Il male, a volte è sottile, scorre sotto i tappeti, dietro le tende, ci circonda e fa talmente parte della nostra esistenza, che non riusciamo nemmeno a distinguerlo dal resto, perché non vediamo nient’altro che quello e non conosciamo nient’altro che quello. E per vederci meglio, a volte basta un flebile spiraglio di luce, attraverso una porta, per sbaglio dimenticata aperta. Qualcuno nella mia vita ha lasciato per sbaglio una porta aperta. Non so chi sia stato, magari l’ho dimenticata io stordita come sono. Ma so che lo ringrazierò per sempre. Perché mi è bastato un solo sguardo e tutto è cambiato e continua a cambiare. E riguardo al fatto che si dice che tutti prima o poi nella vita formulino almeno una volta il pensiero di uccidere i propri genitori, beh se non è capitato a me alla Nini sicuramente è successo l’altra notte. Credo fermamente nel fatto che abbia pensato di uccidermi. L’ho dovuta chiudere nel bagno. Il veterinario dice che forse dovrà andare da uno psicologo. Anche la Nini dovrà spezzare le sue catene. E magari anche lei lo capirà in una notte di tempesta in bilico sulla grondaia tra il cielo di Torino e via Po.

Quetzacoatl è telepatico.

LUNEDÌ 11 MAGGIO 2009

Pensavo…tanto per cambiare (tra l’altro i pensieri più strani li formulo mentre sto facendo qualcosa. Tipo mentre sto pedalando o mentre vado in bagno a fare la pipì). Pensavo…pare normale? A volte mi ritrovo in certe situazioni. Anzi molto spesso mi ritrovo in certe situazioni, che paragonate al resto del mondo che mi circonda, forse, proprio normali non sembrano. In quei momenti tragi-comici, quando per un attimo vedo la mia situazione dal di fuori, mi viene da ridere. Grasse risate. Con tanto di goccioline a spruzzi e trucco che cola dagli angoli degli occhi. Non so se sia una risata sana, magari è solo il sintomo di un allegro esaurimento, magari è una di quelle risate che potrebbero benissimo trasformarsi in un pianto a dirotto. Sono scelte, come dico sempre io. Ad ogni modo, che sia nel mentre o subito dopo, rido fortissimo. Quello che mi sorprende è la rapidità con cui ultimamente riesco a ribaltare la mia situazione emotiva. Si chiama cinismo? Non lo so. Si chiama lucidità unita ad una sensibilità ingestibile? Può darsi. Ieri ho passato una giornata che vista dal di fuori io ho interpretato con un film di Almodovar e la mia Alter Ego come “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”. Fatto sta che mi sveglio. Striscio sul divano. Ricevo una telefonata “Sto andando da Ciccio”. Metto giu. Non riesco nemmeno ad alzarmi dal divano, perché c’è la luna piena (è l’una, cosa c’entra la luna piena? c’entra c’entra..) e non solo, diciamo che il venerdì sera che dovevo passare a casa tranquilla si è trasformato in una crisi di iperattività con pedalata alle tre del mattino che ha lasciato segni assurdi ed evidenti un po’ dappertutto. Poi ricevo un messaggio “ti dico solo che Ciccio è Buddista”. Quel  messaggio mi ha fatto alzare dal divano. Non per il richiamo del Nirvana, ma perché mi ha fatto ridere. Era il principio di una situazione. E io lo so che quando mi sveglio così e c’è la luna piena e mi chiama quell’Alter Ego lì va a finire malissimo. Pulisco la strisciatina di pipì della Nini (nonostante le abbia chiesto parlandole per un’ora di trovare un modo più dignitoso di attirare la mia attenzione al posto di pisciare e cagare ovunque non abbiamo ancora risolto i nostri problemi), mi infilo una gonna, le scarpe, una maglietta ed esco. Arrivo nella solita via. Dove c’è un kebabbaro. Dove ci sono delle panchine. E dove c’è un tatuatore che oggi chiamiamo Ciccio che tarda ad arrivare. La mia Alter Ego è seduta sulla panchina e parla al telefono. Io finisco la siga camminando avanti e indietro come un gambero. Lo so che è uno di quei giorni in cui non riesco a pensare alle cose concrete e il mio sguardo è una via di mezzo tra stagno e spilli. Faccio il gambero e non me ne rendo nemmeno conto. I piedi fanno tutto da soli io sono da un’altra parte. Metto a nanna il gambero, perché in questi giorni non lo sopporto e mi siedo sulla panchina. L’A.E mangia un kebab io mi bevo una cocacola (il kebab l’ho già mangiato alle tre di notte, l’odore di cipolla ora proprio non lo posso tollerare). Siamo sedute lì e attendiamo l’arrivo di Ciccio mentre un’intera Torino ci passeggia davanti e sono così tante le cose successe nelle ultime 24 ore ad entrambe che un discorso tira l’altro. Tira l’altro nel senso che ne incominciamo un sacco senza concluderne nessuno perché di base non esiste ancora nessuna conclusione. Ciccio arriva ad interrompere discorsi inconcludenti eppure dai contenuti di rara saggezza. Ciccio è cresciuto dall’ultima volta. Si perché in realtà questa storia è iniziata nel 2004  a Barcellona quando mi sono svegliata una mattina col desiderio di suggellare l’epocale cambiamento con un tatuaggio e questo pensiero durato una frazione di secondo si è trasformato due ore dopo, accompagnata dalla mia A.E, in un enorme tatuatore di nome John con la barba lunga fino alle ginocchia. Poi mi ritrovo un pomeriggio a Torino con l’A.E alla ricerca frenetica di un tatuatore. Si perché normalmente un tatuaggio bisogna prenotarlo con mesi di anticipo. Ed è così che incontriamo Ciccio. Perché Ciccio, alla fine è sempre disponibile. E Ciccio e l’A.E diventano un sacco amici. E oggi Ciccio e l’A.E si ritrovano. E mi ci ritrovo pure io. E di mezzo c’è un po’ di tutto, c’è un cambiamento, c’è un danno ad una macchina di 3000 euri, c’è un kebab non digerito, c’è una sorta di felicità abbinata ad un'impalpabile sensazione di spavento, c’è un amico per cui mi sto preoccupando più che per me stessa, c’è il filo di un discorso da concludere, c’è una divinità Atzeca con la testa di serpente e il corpo d’uccello, c’è la luna piena e tante cose. Tante Cose. Ciccio un appuntamento ce l’ha quindi dopo esserci appropriate dello studio nemmeno fossimo a casa del nostro migliore amico, andiamo all’internet point per cercare i disegni di quel potentissimo Re che è Quetzacoatl perché la mia A.E è una Regina e giustamente pretende da Ciccio un Re.  E mentre lei cerca il Re, dopo aver riesumato due tessere dell’internet point con codice disperso, io mi dilungo in una telefonata per un amico, che sa di vita all’ennesima potenza e che mi fa capire quanto tempo, cuore e paranoie ultimamente io abbia perso in emerite cazzate. Sono emerite cazzate le mie. Le sue no. E lui sta in piedi molto meglio di me io invece vado a sbattere dappertutto. Torniamo da Ciccio. Saltelliamo avanti e indietro nel suo studio e rispondiamo al citofono accogliendo improbabili personaggi. E poi è iniziato tutto un discorso di inequivocabile umidità mentre io stringevo i denti per non sviare il discorso, continuando a ripetermi “oh madre” e sono uscita dallo studio di Ciccio con lo sguardo ancora più stagno e spilli di prima ma contenta e felice con un bel cambiamento, un’amica, un amico, nel cuore e sulla pelle, e con la Netta percezione, che questo periodo, ora è certo, non me lo dimenticherò mai. E grazie ad una giornata all’insegna dell’improvvisazione ora la Regina ha il suo Re. Io, ho concluso (forse) un discorso. Quetzacoatl è telepatico, skype non funziona e la Nini oggi si è pure vinta una seduta di Reiki gratuita.  E rivedendo quello che doveva essere un normale sabato pomeriggio pensavo…pare normale?

L’iniziazione.

L’iniziazione è quando superi una prova grande. Grande per le tue gambe. I tuoi piedi. Le tue mani, strette, affusolate, eppure con la pelle dura. L’iniziazione è quando ti guardi allo specchio e ti rendi conto di avercela fatta. Nonostante tutto. Di aver guardato con onestà dentro te stesso. Quando l’acqua si calma. I cerchi perdono la loro spinta e oltre la trasparenza riesci a vedere tutto quello che rimane sul fondo. Sul fondo. Per sempre.L'iniziazione è quando ti rendi conto che ognuno interpreta le cose a modo suo e che l’unica certezza è il proprio modo di vedere le cose. Quando rimane saldo, dentro di te, come quei resti sul fondo che riesci a vedere nitidi come fossero in superficie, il rispetto verso te stesso. Quando resisti senza perderti, quando provi emozioni, quando sai di aver fatto tutto, detto tutto e sentito tutto quello che potevi sentire. L’iniziazione è quando tutto torna. I tuoi contorni diventano ancora più definiti e la tua capacità di amare più profonda. L’iniziazione è quando ammetti a te stesso di avercela fatta perché qualcuno, con più esperienza di te ti ha aiutato a capire perché tu, hai cercato aiuto. E quando comunque ti rendi conto che nonostante l’aiuto, dipende da te quel tesoro che rimane sul fondo. Un tesoro che hai raggiunto e che non potrai mai più perdere. Quando guardandoti indietro sorridi, e forse piangi un po’. Perché tutto ciò che è vita è umido. L’iniziazione è qui. Quando per un attimo la corrente dei pensieri, del sangue, dell’aria si ferma e in te trovi la risposta, quella giusta, che ad ogni cosa che accade restituisce un senso. L’iniziazione è avvenuta. Superata. Ora, siamo pronti per la discesa. Accendiamo una di quelle candele che vengono da un monte della Grecia. Quelle dei momenti speciali. Quelle che qualcuno già conosce. Da dieci anni le porto con me. Probabilmente l’ultima che accenderò rappresenterà la lezione più grande.

Lasciamo libere le persone. Lasciamoci liberi. Perché tanto tutto, ma proprio tutto, torna.