Dalla testa e dalla pancia.

C'è una stanza in cui tutto si azzera. Un luogo in cui il passato scompare e una luce madreperla, compatta e leggera avvolge le pareti, la pelle e il respiro. Prima di entrarci metto da parte tutto quello che mi porto dentro. Metto a tacere tutte le tracce di me. Dimentico il luogo in cui sono stata concepita, l'aereo appena nata, l'inquietudine che danza intorno al fuoco dei miei occhi. Dimentico la cartolina della mia anima. Spedita dalla Russia con amore. Dimentico le persone che non ci sono più. Metto da parte ogni errore e ogni insicurezza. Ogni strappo, ogni momento felice, ogni trasformazione e ogni desiderio. Prendo tutte le cose che mi porto dentro e le lascio lì, in un cestino appoggiato per terra sopra uno zerbino dove c'è scritto solo “Adesso”. È in quel luogo fuori dal tempo che mi concedo la possibilità di essere felice. È in quel caldo e morbido nido di cotone che smetto di avere paura. La vita è così. È una prova di coraggio. È un pensiero che dalla testa ha bisogno di ritornare alla pancia per ritrovare il proprio significato. Perché la pancia non conosce pause di riflessione. Incessantemente cerca nutrimento e soddisfazione.

La tregua dalla mia storia dura un solo istante. Giusto il tempo di nutrirmi e dire grazie. La porta si riapre e tutto ciò che mi porto dentro inizia ad arrampicarsi sulle pareti del cestino del presente. E in mezzo a tante storie e tante domande ci sono due occhi che non smettono di parlarmi. Mi seguono con amore in ogni gesto e in ogni passo. Sono la sospensione in un tempo infinito. Un vuoto profondo in cui ci sta tutto quanto.

Il suono della sopravvivenza.

Il 1 giugno 2009 un aereo dell'Air France diretto a Parigi Charles de Gaulles scompare dagli schermi radar mentre era in volo sull'oceano Atlantico. Un puntino lampeggiante che si volatilizza all'improvviso. Un bip bip che diviene silenzioso. Una lucciola che in un'istante decide di privarci della sua magia. A bordo di quel volo c'erano 228 persone di cui 10 italiani. 228 storie che si sono incrociate proprio lì, al check-in a Rio de janeiro. Quel dannato check-in verso un altro mondo, una realtà parallela, magari un'isola invisibile come quella di lost o semplicemente verso la fine. Le storie del 1 giugno 2009 in realtà non sono 228 ma 229. La storia numero 229 è quella di un ragazzo di Genova che chiameremo Mario, il cui finale è cambiato in pochi minuti quando Claudia, hostess dell'Air France l'ha convinto a cambiare volo. C'era un aereo in partenza poco prima dell'airbus della morte, Mario era arrivato in anticipo e desiderava viaggiare comodo. Claudia insiste, per qualche strano motivo non gli permette di dire di no, tanto da rimanere a discutere con lui per almeno un quarto d'ora. I colleghi di Mario decidono di non cambiare volo e lui da solo si lascia convincere e decide di partire in anticipo sull'aereo della grazia. Mario sorvola l'atlantico, si addormenta, si risveglia, osserva la periferia di Parigi dall'alto e rimette piede a terra. Il rumore di quel primo passo è stato il primo suono della sopravvivenza. Quel giorno 228 storie sono finite, una è cambiata per sempre. Perché sopravvivere non è semplice. Nella sopravvivenza sono racchiusi i significati più profondi dell'esistenza: la gioia e il dolore, la rinascita e la decomposizione, la libertà e la paura, la ribellione e l'accettazione. Sopravvivere è una delle responsabilità più grandi che la vita ci possa mettere tra le mani. Una violenta imposizione di lucidità e di felicità sotto gli occhi di 228 occhi spenti per sempre. Mario e la sua famiglia hanno ricevuto questa grazia e hanno deciso giorno dopo giorno di continuare a onorarla. La celebrano semplicemente vivendo nel profondo, per poter alimentare, un gesto dopo l'altro il flusso dell'esistenza. Nutrirla continuando a muoversi, a dare e ricevere, piangere e ridere, amare e poi spesso lasciare andare. Mario è come un angelo con un'ala bianca e una nera. I colori di chi ha toccato in un solo giorno il tutto e il nulla. E nessuno ha mai dimenticato Claudia. Ci è voluto un po' prima di riuscire a ritrovarla perché l'Air France non voleva formire i suoi dati. Alcuni amici di Mario l'hanno incontrata proprio lì al check-in di Dio, a Rio, quando lei piangendo ha detto che non avrebbe mai potuto dimenticarsi di quel ragazzo al quale senza rendersene conto quel giorno aveva salvato la vita. In Italia c'è poi stata una settimana di Claudia Party. Una settimana di festa insieme a lei e per lei, accompagnata da un retrogusto dolceamaro.
Perché i sopravvissuti non possono solo gioire. I sopravvissuti si portano sulle spalle la densità di ogni giorno di respiro in più che hanno. Questà densità però si può trasformare in energia, rapida e leggera. La forza di far sentire anche agli altri, a tutti coloro che non hanno ricevuto alcuna grazia, qual'è il vero gusto della vita. Ed è in questo modo, agendo con il cuore in mano, osservando la magia racchiusa nei piccoli gesti, entrando in punta dei piedi nella vita degli altri, onorando ogni alba e ogni risveglio, che la bilancia ritrova l'equilibrio e il flusso della vita la sua direzione. Io non sono Mario e un po' mi dispiace. Perché vorrei anche io, ogni mattina e ogni sera osservare il cielo con la piena consapevolezza di guardarlo dalla prospettiva migliore. Ringrazio la madre di quel ragazzo di Genova che mi ha raccontato questa storia, mentre delicatamente con il suo obiettivo rubava attimi di emozione in un giorno molto importante per la mia famiglia.

Sembra proprio una civetta.

Sulla sedia in terrazzo c’è ancora una tovaglia, due asciugamani un tappetino per la doccia e un posacenere. La casa è incredibilmente in ordine. Ho disfatto la valigia appena sono rientrata in casa, ho ritirato il bucato steso, ho buttato via i giornali vecchi e ho pulito le tazze incrostate di zucchero e caffè. Ce la posso fare. Posso ritornare a casa senza avere paura dei miei passi. Posso entrare in cucina senza dover stare attenza ai fiocchi di cereali sparsi per terra e alle cartine del te che si incastrano in mezzo ai fornelli prendendo fuoco ogni volta che metto su l’acqua. Posso anche evitare di dovermi difendere da una nuvola di moscerini attirati dall’umidità causata dalla perdita che da mesi allaga l’armadietto sotto il lavandino. Perché, in attesa che venga l’idraulico, posso ad esempio ricordarmi di chiudere il rubinetto dello scarico dell’acqua dopo aver fatto il bucato. Sì ce la posso fare. Posso anche iniziare a crescere. Andare a lavorare pensando solo a me stessa e non alle persone con cui lavoro. Entrare in ufficio, comportami con distaccata professionalità ed evitare di instaurare un rapporto di stima, affetto, comprensione, condivisione. Posso fare semplicemente quello che devo fare. Senza provare, senza sentire. Posso imparare a rimanere fredda, distaccata. Posso imparare a rimanere impassibile. A non ridere quando sono felice e a non piangere quando sono triste. Posso fingere. Posso accontentarmi del primo uomo che mi capita e smetterla di credere di poter essere salvata. Posso annuire, mentire e smettere di sognare. Posso evitare di emozionarmi per qualunque cosa. Posso evitare di commuovermi per un concerto, un film, una notte d’amore, un attimo di respiro dopo l’afa africana, una fiaba inventata per me e una mail ricevuta. Posso assolutamente evitare di affezionarmi a persone che non ho quasi mai visto. Posso smettere di dire la parola, che so, può far soriddere chi sta male. Posso dimenticarmi della capacità di credere e di dare fiducia. Posso. Ma non voglio.

La casa è in ordine, la cucina è asciutta, il pavimento è pulito e profumato. Forse per questo invece di rimanere sul divano questa notte preferisco distendermi con un asciugamano, una tovaglia e un tappetino per il bagno, per terra, sul terrazzo.

Guarda. Guarda laggiù sul tetto in mezzo ai camini. La vedi quell’ombra scura? Sembra proprio una civetta! Probabilmente non lo è. Se lo fosse, sarebbe già morta, soffocata da tutto l’inquinamento che c’è. Non importa. Posso provare a credere anche solo per una notte che lo sia. Perché le civette portano fortuna e ne avrò bisogno ora che ho deciso di continuare a crescere come voglio io.

Valigie sul pavimento.

Sfacettature silenziose. Negli occhi troppo piccoli. Nel sentire senza dire. In un sorriso cupo. Una scarpa per terra, una lettera mai aperta, un codice dimenticato. Il file non si apre. L’applicazione non è aggiornata. Poche ore già sono troppe. Poche ore sono troppo poche. Le molecole non sono compatibili. Butto i vestiti in una valigia. Una valigia nuova più piccola di quella del giorno prima. Non disfo le valigie. Il pavimento è pieno di valigie ancora piene. Non voglio portarmi dietro nulla per non dimenticare nulla. Dimentico comunque qualcosa. Mi dimentico come si fa a dire voglio andare via. Mi dimentico come farsi chiedere di restare. Un viaggio lungo i binari. Il paesaggio non ha dettagli è solo un temporale. Attraverso il temporale. Mi addormento. Sogno che sono le 8 del mattino che è domenica e che c’è troppo rumore. Riapro gli occhi e il temporale è finito. Ricomincio a respirare piano. La città mi accoglie un’altra volta a braccia aperte. Afa. L’Afa è finita. C’è solo più il sole e l’aria è asciutta. Ritrovo il mio orizzonte. È nitido. È perfetto. Non posso vivere in una città senza orizzonte. Non esiste una città possibile se non c’è un fiume. Se non vedo le colline non posso fuggire. Trascino i piedi sul pavé. I sandali cercano di starmi dietro. Riapro casa. Butto sul pavimento un’altra valigia. Sembra ancora più piccola di prima. Non mi fermo. Non mi soffermo sulle immagini. Le immagini mi inseguono. Sotto la doccia qualcuno mi sussurra parole finte in un orecchio. Sembrano delle caricature ma non lo sono. Sono maschere che forse nascondono il nulla. Stacco le cuffie. Spengo lo stereo. Rivoglio il mio silenzio. Lasciatemi solo le sensazioni. E l’intensità. I pezzi non si incastrano. Li lascio dove sono. Non voglio unire i puntini e non voglio capire. Non riesco a chiudere l’acqua. Domenica mattina. Sono le 11 e non c’è rumore. Sulle montagne c’è ancora un po’ di neve. La neve presto scomparirà perché io sto di nuovo correndo verso il sole. Mi brucio e non me ne accorgo. L’attenzione è dentro di me. Fuori c’è solo troppa umidità. Sfacettature silenziose. In una luce che vedo solo io. In un capitolo senza capo ne coda. Prendo in mano la valigia più piccola e comincio a disfarla e ci trovo dentro un pensiero che avevo dimenticato. Non ci siamo divertiti. Abbiamo fatto l’amore.

In alto a sinistra.

Ti parlo tenendo gli occhi bassi. Sono troppo densa. Così densa che le spalle mi cascano all’ingiù. Sollevo per un istante lo sguardo per poi tornare a fissare le mie mani che non so bene dove mettere. Si dice che guardiamo in alto a sinistra quando siamo alla ricerca di un’immagine. Non so quale immagine io stia cercando ora. Forse quella di me vestita con una gonna lunga mentre danzo ad una festa di paese. Una sagra per esempio. Di quelle unte e colorate dove puoi permetterti di prendere un vecchietto per mano e farlo ballare con te regalandogli un quarto d’ora di leggerezza. La mano che appoggi sul mio ginocchio mi riporta vicino a te. La piazza si è svuotata, l’orchestra ha smesso di suonare e il vecchietto è di nuovo seduto con un bianchino e il suo silenzio. Sono troppo densa. Te ne accorgi anche tu. Per questo ritiri velocemente la tua mano. Forse stiamo solo presupponendo molte cose. Io presuppongo che tu non veda l’ora di andartene. Tu presupponi che io non abbia bisogno di te. Il risultato è comunque una assoluta reciprocità di tempi. Metto le sigarette nella borsa. Tu afferri la sedia e provi ad alzarti. Per un secondo rubo un’immagine nuova. L’immagine di me che sorrido e chiudo gli occhi per prendermi l’abbraccio che hai deciso di darmi. L’immagine di me che mi aggrappo alla tua maglietta perché mi piace. L’immagine di noi. In quel momento il mio sguardo cambia.Le mie particelle si separano una dall’altra e iniziano a dividersi, a moltiplicarsi e a muoversi velocemente. Non sono più fango sono di nuovo acqua che scorre. Ti guardo. Ti vedo. Tu ti alzi, prendi la tua sedia e la avvicini alla mia. Tu vedi me che chiudo gli occhi mentre mi abbracci. Tu vedi me che mi aggrappo alla tua maglietta che non ti piace. A volte un pensiero può trasformare un’immagine in un respiro. Riapro gli occhi e scivolo via dalle tue braccia rimanendo presente. Un vecchietto si alza e abbandona il suo tavolino. Prima di scomparire dietro l’angolo, si volta e mi regala un sorriso. Tutto può essere. Tutto può essere più semplice di così. Basta un pensiero, il cuore e un gesto.

A caso.

A caso. Mi distendo per terra. Da qui il nano da giardino sembra il mio migliore amico, il praticello finto un angolo di paradiso e il tappeto una striscia di sabbia. Se chiudo gli occhi il rumore del traffico può anche trasformarsi in un ruscello. A caso. Faccio la prima cosa che mi viene in mente. Mi distendo sul tappeto di casa mia. Il tempo va per conto suo. L’alba penetra di nuovo tra le fessure delle tapparelle e la rosa che ho lasciato sul tavolo sembra non voler appassire. A caso. La paura ingiustificata evapora insieme all’inverno più lungo degli ultimi dieci anni e la gatta ricomincia a dormire sul letto. La gatta è sul letto e io sono sul tappeto. E stiamo meglio entrambe. Nel cortile c’è una bici appesa in verticale che beve le gocce d’acqua che colano dai vasi per dissetarsi in attesa che io mi decida a ripararla. Abbraccio il pavimento. Abbraccio la vita. Le chiedo scusa. Aveva ragione. Dovevo fidarmi di lei. Ringrazio il pavimento. Ringrazio la vita. Vado a riparare la bicicletta. Prima però mi guardo allo specchio e sorrido. Sorrido davvero. A caso.

Mele dalla finestra.

Se poi la soluzione non arriva puoi sempre lanciare le mele dalla finestra.

Mele marce. Non dobbiamo sprecare nulla. Anzi mezze mele marce. La metà buona ce la teniamo e magari ci facciamo un altro tortino. Un tortino improvvisato con la scorza di limone tagliata a cubetti piccoli piccoli con il coltello perché la grattugia è andata a nascondersi in fondo al frigo dietro barattoli vuoti di marmellata fatta in casa e olive che cercano di fare capolino da uno spesso strato grigio di muffa. La grattugia è rimasta lì e il limone a cubetti è finito insieme ad un minuscolo pezzo di guscio d'uovo nell'impasto per il tortino fatto con la mezza mela buona. Per questo oggi prendo la mezza mela marcia e la lancio con violenza fuori dalla finestra dell'ufficio. Ma ho le braccia troppo piccole nonostante le casse d'acqua che mi trascino fino al quarto piano ed è per questo che la mela non riesce a superare il cancello del dannato borgo valentino che va salvato e si va a schiantare su una macchina. Manco la soddisfazione di superare il recinto del cantiere eterno e già condannato dal quartiere. Ci sono ancora un paio di mele da lanciare. Prima però devo aspettare che marcisca almeno il primo quartino. La grattugia è ancora dov'era. Mi è passata la voglia di tirarla fuori quando il gatto è riuscito ad aprirsi il frigo e ha tirato giù dall'ultimo ripiano un pezzo di pecorino e dopo averlo scartato se l'è mangiato. Il pecorino. Il Dio pecorino che non manca mai in casa mia. Il gatto si è mangiato il mio pecorino. E se non gli do l'activia tutte le mattine diventa isterico e mi azzanna. Ho un gatto drogato di latticini. Se tiro fuori la grattugia ho paura di tornare a casa e di ritrovarmelo davanti ad un piatto di maccheroni cacio e pepe. Meglio lasciarla lì insieme alle olive ammuffite perché anche le olive creano dipendenza. Credo ricordino un non so quale tipo di ferormone felino che li fa impazzire. Oggi però c'è il sole per questo va tutto meglio. In pausa pranzo ho inseguito come sempre un attimo di solitudine e sono andata al valentino che per ora è salvo e mi sono seduta sul prato a prendere il sole. Si stava da Dio. Non volevo più andare via. Poi ho iniziato guardarmi intorno e all'improvviso mi è sembrato tutto finto. Tutti finti. Tante macchiette tutte uguali con voci impostate e sguardi vuoti. Allora mi sono distesa e ho iniziato a guardare il cielo e ho visto le nuvole muoversi. Ho tirato un sospiro di sollievo e ho pensato. Ok. Sono viva. Va tutto bene.

Ora vado a mangiarmi l'ultimo quartino di mela. Il quartino buono però.

Ricomincio dalla fine.

Perché non scrivi? Perché mi manca il finale. In che senso? Non puoi iniziare a scrivere e basta? No. Non posso scrivere senza il finale. Ma che ne sai magari inizi a scrivere e poi una parola dopo l’altra per forza ad una conclusione ci arrivi.

Si per forza fosse anche solo quella di lasciar perdere. Come dici tu, la soluzione, probabilmente, arriverà da sola, senza che nemmeno io abbia bisono di sforzarmi per raggiungerla. Sarà una semplice conseguenza di tutto ciò che viene prima. Ma se quando cominci non hai in mente un obiettivo da raggiungere, chiaro, limpido, brillante come la macchia che si crea sullo schermo del computer quando viene colpito da un raggio di sole troppo forte, che qualità credi che possano avere le parole che scegli per arrivarci?

La vita funziona allo stesso modo. Puoi lasciarti vivere, trascinato da obiettivi che in realtà non ti appartengono, oppure puoi sforzarti di capire quello che vuoi davvero. E iniziare ad orientare tutto te stesso in quella direzione. Puoi permettere a quel raggio di sole di prendersi tutto lo spazio che vuole, al posto di correre a chiudere le tende.

Forse questi ultimi mesi sono serviti proprio a questo. A farmi capire meglio quello che voglio davvero e a lasciare un’altra volta la finestra aperta.

Forse è per questo che oggi, a denti stretti, mi ritrovo a dire Voglio con tutta questa lentezza e questa sete.

"Voglio.

Voglio sentire il sapore delle spezie nell’aria e provare il desiderio di pucciarci la punta della lingua. Voglio raccogliere frutti maturi dopo essermi fatta male, dopo aver corso senza maniche sotto una fitta tenda di grandine. Voglio lasciare che il succo di quei frutti mi scorra tra le dita e condividere quelle gocce di vita con qualcuno capace di apprezzarle. Voglio rimanere per un attimo seduta su una sdraio che non ho, ad ascoltare i rumori della strada dal balcone che ho e sentirmi soddisfatta, di me stessa e di quello che provo. Voglio poter fare della mia storia il mio tesoro e voglio dirlo senza paura di essere giudicata. Voglio mangiare carne e pesce in compagnia, con olio buono e basilico fresco. Voglio leggere e studiare di più. Voglio sapere di più. Voglio fumare di meno. Voglio trasformare la mia profondità in emozioni capaci di lluminare i miei occhi e quelli di chi li guarda, sempre. Non una volta al mese. Voglio ascoltare una storia vera e iniziare a farne parte. Voglio rimanere coerente con me stessa e ritrovarmi un giorno a pensare “ho fatto bene”. Voglio di nuovo un’avventura. Voglio scoprire una musica nuova e percussioni capaci di dare un nuovo ritmo alla mia vita. Voglio trovare il coraggio di riascoltare la musica di tutto quello che non c’è più, per poter ricominciare a sentire. Voglio sedermi per terra e ritrovarmi per caso spettatrice di un'opera d'arte. Voglio un sentimento, voglio più coraggio, voglio più calore. Voglio ricominciare a camminare per strada sorridendo, certa di stare per ricevere un regalo. Voglio una vita in cui “odiare” non debba essere la parola più piacevole da pronunciare".

Voglio questo finale, con tutta me stessa e lo voglio come punto di partenza.

Una guerra e mille colori.

La settimana scorsa per la prima volta ho sperimentato fino in fondo cosa voglia dire provare dolore nel vedere i propri ideali calpestati. Chi ha più anni, cultura ed esperienza di me sapeva già come sarebbero andate le cose. Nella mia ingenuità e mancanza di esperienza non sono riuscita a rendermi conto dello stato reale delle cose. Non sono riuscita a guardare oltre il mio giardinetto abbastanza in tempo da proteggermi dalla sofferenza provata nel focalizzare all’improvviso un panorama arido, duro e povero come quello che mi si è così clamorosamente palesato difronte. Strano parlare di sofferenza oggi come oggi, quando si parla di “semplici” ideali. Sarà strano ma per quanto mi riguarda non posso utilizzare nessun’altra parola. E mi sono anche messa profondamente in discussione. E nel mettermi in discussione ho capito di aver tralasciato delle questioni importanti, perché mi parevano ovvie, come ad esempio il fatto che diventiamo davvero padroni e responsabili del nostro giardinetto solo dopo aver guardato cosa c’è nel mondo. E che possiamo definirci padroni di un giardino, solo quando ci riferiamo a quei meravigliosi pezzi di terra conquistati, giorno dopo giorno, confronto dopo confornto, coltivando il seme della nostra libertà. E non parlo solo di libertà di pensiero parlo di libertà di esistere. Dentro sento di essere libera di esistere. Fuori di me c’è e ci sarà ancora per tanto tempo una grande guerra. La mia personale guerra in difesa dei miei ideali. Perché se oggi abbandono con i lacrimoni la pretesa di poter cambiare le cose, non smetto e non smetterò mai, di fare in modo che esse non mi cambino. Per questo continuerò a indossare mille colori. Semplicemente perché continuerò a viverli.

Questioni di responsabilità.

Ok. Per una sera smetto di essere Pollianna. Per una sera diamo la parola a quell’altra parte di me, l'altra inquilina. Sono ciò che credo di essere. Non vedo il mondo rosa perché mi sono sempre stati regalati solo fiori. Così come non scelgo di essere ottimista perché ho sempre avuto la vita facile. Ho avuto una vita e un’infanzia difficile come quella di tanti. Ho sofferto più o come tanti altri (lungi da me giudicare la dimensione dei dolori e delle fatiche altrui) e mi risulta estremamente difficile dover sempre ostentare sofferenza per rendere più credibile il mio modo di vedere la vita. Non ho più così tanta voglia di dover descrivere il perché oggi sono come sono. Ma sta di fatto che ciò che sono e che scelgo oggi me lo sono conquistata lottando ogni secondo. E ne vado fiera e l’ho già detto fin troppe volte. E sono stufa. Sono stufa di avere a che fare con persone che non fanno altro che piangersi addosso. Sono stufa di vivere in un paese in cui nessuno ha il coraggio, o la voglia, di lottare, sono stufa di questa totale morte e mancanza di ideali e di chi pensa di poter avere tutto senza mai rinunciare a nulla (per lo meno nelle intenzioni) e senza mai esporsi. Se non posso essere sempre Pollianna sicuramente cercherò di essere il più a lungo possibile idealista. E per me è inconcepibile accettare frasi come “sono fatto/a così” o come “destra o sinistra è la stessa cosa”. È vero forse sono la stessa cosa. È vero, viviamo in un paese di merda. È vero, parlo da una condizione, comunque, privilegiata. Ed è vero, è difficile cambiare il nostro modo di essere e i meccanismi che regolano le nostre relazioni quotidiane. Ma è possibile. E in questa merda che come dice il mio alter ego (giustamente) ci riempie la bocca, abbiamo due alternative: continuare a nuotare annichiliti dal fetore in cui siamo nati e cresciuti, oppure provare a cambiare le cose. Cambiare le cose non vuol dire credere nell’impossibile. Per me cambiare le cose vuole dire credere nel proprio piccolo “Possibile”. Il nostro piccolo giardinetto. E il mio giardinetto non è fatto di buonismo e nemmeno di volontariato. Il mio giardinetto è fatto di studio, presa di consapevolezza, confronto, odio e perdono, fatica, morte, rinascita e scelta, lavoro, allontanamento e riconciliazione. Mettersi in discussione e scegliere. Soprattutto scegliere. Abbandonarsi al destino, allo stato delle cose, al proprio modo “problematico” di essere è la strada più semplice. Non facciamo altro che sguazzare nei nostri finti equilibri e nelle nostre disgrazie riempiendoci la bocca di cultura incompresa, di cinismo e di psicologia da quattro soldi. Fanculo al cinismo, all’essere passivi e all’essere codardi. Sì sono buona, sono ottimista, sono idealista, sono “pura”. Perché sono fatta così ma soprattutto perché ho scelto di esserlo. E di farmi rispettare per quello che sono piuttosto che per quello che potevo fingere di essere. E tutto questo non lo faccio per il bene del mondo. Lo faccio per me stessa e per il valore che do alla vita. E per il valore che do a me stessa e alla vita le condizioni dell’Italia oggi non sono altro che lo specchio di un paese da troppo tempo in balìa delle paure, dell’ignoranza e di una distorta visione delle cose. Forse anche la mia visione è distorta ed errata e non sufficientemente argomentata. Ma credo che sia comunque meglio una visone distorta ma basata su ideali “positivi” e costruttivi, piuttosto che una visione che non fa altro che confermare tutto ciò che a gran voce diciamo di odiare e rifiutare. Coerenza. Un po’ di coraggio, di fatica e di errori, sì, ma per lo meno di coerenza. Questo è quello che vorrei vedere intorno a me. In queste parole esprimo tutta la mia rabbia nei confornti di questioni sia pubbliche che private. Perché credo che solo provando a migliorare il nostro “privato” forse riusciremo a vedere un po’ di luce nel pubblico. Siamo responsabili di noi stessi. Solo di questo. E ciò che ci circonda e come lo viviamo è la conseguenza di questa responsabilità. E su questo per lo meno posso andare a dormire tranquilla. Quello che oggi mi circonda più da vicino, le persone con cui oggi condivido davvero qualcosa, mi piacciono. Con alcune c’è più affinità e sintonia (alcune iniziano a leggermi nel pensiero...) con altre magari meno, con altre ancora si creano veri e propri conflitti che mi aiutano a crescere, ma di base, ritengo ogni persona preziosa per ciò che è e per quello che mi può dare. Il piccolo mondo in cui oggi mi trovo in un modo o nell'altro mi rappresenta. E mi piace. E per questo ho la presunzione di pensare che evidentemente il mio modo di vedere le cose non sia proprio del tutto sbagliato. Detto questo. Ad ognuno la propria scelta. E ad ognuno la responsabilità delle conseguenze delle proprie scelte. Perché ogni azione ha una conseguenza. Nel mio piccolo cercherò di prendermela sempre di più questa responsabilità nei confronti di me stessa. È l'unica cosa che sono libera e che sarò sempre libera di fare. Risolvere le mie questioni e condividere le mie soluzioni. E allora mi domando: quale può essere la conseguenza della scelta di votare la lega? E soprattutto e ho quasi paura a chiederlo: che razza di giardinetto e proprio piccolo "Possibile" sta coltivando, ogni giorno, chi oggi ha scelto di votare la lega? Provate a sbirciare un attimo in tutti i giardinetti che si nascondo dietro quei voti. Scostate le foglie e provate a guardare un pò più da vicino la terra da cui nascono tutti quei fili d'erba. Sono sicura che scoprirete che è lì che si nascondono e strisciano tutti i parassiti, i bacilli e i germi di questo paese malato. Se non riusciamo a vederli, se non riusciamo a distinguere una terra davvero sana da una malata, vuol dire che forse iniziamo ad essere un pò malati anche noi.

La lampada di Biancaneve.

Ho preso una scossa. Ho provato ad attaccare la spina di una lampada ad una presa all’interno di una casa vecchia, in montagna, di quelle che sanno di muschio e di brace, dove batuffoli di polvere si accumulano negli angoli e dove si nascondono oggetti che ricordano la strega di Biancaneve. La polvere mi entrava negli occhi e l’aria asciutta mi faceva pizzicare il naso. M;a ero affascinata da quella lampada a forma di candela. Sembrava proprio una di quelle candele bianche lunghe che una volta accese creano gocce di cera perfette. Mi piaceva così tanto quella candela perfetta che mi è venuta voglia di accenderla, sperando di vedere la cera sciogliersi e di poterci pucciare la punta delle dita per creare sottili sfoglie bianche con sopra impresse le linee delle mie impronte digitali . La presa era difettosa e mi sono presa una scossa. Sembrava proprio una scena da cartone animato tipo Tom&Jerry. Mi sono immaginata trasparente con le ossa dello scheletro fosforescenti. Non credo di essere diventata trasparente ma sicuramente mi sono venuti i capelli dritti e pure un gran mal di testa. Quella casa apparteneva ad una mia compagna delle elementari che aveva deciso di portarmi n vacanza con lei e la sua famiglia. Da bambina ossessionata dalla volontà di essere perfetta, come le gocce di cera, mi sono vergognata moltissimo per il fatto di aver voluto, senza permesso, inserire la spina di una lampada in una presa e per questo non ho detto nulla a nessuno.

Sono corsa giù per le scale con i capelli dritti e ho fatto finta di niente. Ho nascosto per bene anche il mio mal di testa e nessuno ha notato il pallore causato dal mio spavento. Ne sono cambiate di cose da allora. Ad esempio ho imparato a dire “ahia!” quando mi faccio male e a perdonarmi con serenità quando mi capita di sbagliare. Di solito però ahia lo dico quando il dolore è già passato, quando ho già smesso di aver bisogno di aiuto, di una carezza o di un semplice abbraccio. Ho trovato e sperimentato diversi modi per esprimere il dolore e devo dire che le persone che mi conoscono e che mi vogliono bene davvero hanno imparato a riconoscerli tutti. Nell’ultimo anno ho preso un’altra scossa. In realtà sono state tante scosse che una sommata all’altra hanno creato un vero e proprio corto circuito. Anche in questo caso, qualcuno se n’è accorto qualcun altro invece no. Sicuramente me ne sono accorta io, quando ho smesso di ridere e quando ho smesso di correre. Allora la scossa mi aveva insegnato a non giocare con le prese e mi aveva fatto capire che le raccomandazioni dei genitori non erano poi tutte false. Le ultime scosse invece mi hanno insegnato qualcosa di più. Mi hanno insegnato a credere di più in me stessa e mi hanno fatto capire che anche se a volte rimaniamo elettrizzati dalla vita questo non fa che renderci più belli. Oggi mi sento di nuovo padrona del mio sguardo e fiera delle mie insicurezze. E tutte queste scosse non hanno fatto altro che rianimare un cuore in letargo, un cuore che si è risvegliato con una nuova pretesa, quella di voler sorridere e di voler giocare di più. Per questo oggi sorrido e gioco con la vita, regalando un libro ad uno sconosciuto e aprendomi, finalmente senza paura a nuovi sentimenti. E ancora una volta mi commuovo nel rivedermi bambina e mi abbraccio con tutta la forza che ho, sapendo che l’acqua che scorre in ogni parte di me mi porterà ad essere sempre più libera e che in questa incredibile ricerca la vita continuerà a farmi prendere piccole o grandi scosse per riportarmi nella direzione giusta.

Quattro occhi.

Domani parte un amico per un lungo viaggio. Un viaggio a Katmandu, lungo 5 mesi. In realtà il suo non è un semplice viaggio. E lui non è un semplice amico. È una parte di me. La parte di me che ho amato di più. A volte la vita ti rende un po’ impermeabile. Ti fa sentire di meno. Stasera le coincidenze della vita ci hanno fatto ritrovare di nuovo per un momento, rapido come un sorso, con gli occhi umidi. E nei nostri occhi c’era davvero tutto quanto. L’amore che abbiamo vissuto, le cose che abbiamo imparato, le persone che ci sono state e che non ci sono più e quest’ultimo mese così incredibilmente, emotivamente, impegnativo. Nei nostri silenzi c’era tutta la fretta che abbiamo sempre avuto di mangiarci la vita. Una fretta che è pericolosa. È la fretta di chi osa. E chi osa mette in conto la la fine di tutto. Noi due ci siamo persi per colpa di quella fretta. O forse semplicemente ognuno ha continuato a camminare per la propria strada. La vita a volte separa. A volte riunisce. La vita è rendersi conto che in realtà non ci si perde mai. Ora mi rendo conto di non aver mai perso nulla. Non faccio e non ho fatto altro, che alimentare ogni giorno, con ogni mio respiro e ogni mio gesto l’intensità racchiusa nel mio cuore. Fino ad oggi ho inseguito come se fosse un sogno irraggiungibile la pretesa di avere una vita eccezionale. In realtà è già eccezionale questa mia vita. Per questo stasera scelgo di riappropriarmi di ogni parte di me. Anche quelle che credevo perdute. E mi rimetto in viaggio anche io “con la mente sgombra, come una pagina bianca, per poter ricevere meglio ogni nuova emozione”, come scrive e dice, il mio caro amico che domani partirà. Auguro a lui, così come auguro a me di continuare a vivere la vita così, con intensità, nel bene e nel male. E di poter essere ogni giorno una pagina bianca per non smettere mai di sentire dentro di me, come sento ora, una fiducia infinita. Quella fiducia che fin dal principio mi ha salvata e che sempre mi salverà.

In bocca al lupo viaggiatore. Che i nostri quattro occhi possano continuare a cercare nel mondo le tracce di ciò che siamo davvero.

Per adesso e per l'incanto.

Abbiamo la spada in mano. Quando ci si incontra e ci si cerca è sempre così. Una danza intelligente e sottile. Un passo indietro ed un passo avanti. Per capire se si è ad armi pari, oppure no. Non c’è chi vince o chi perde. L’unica vittoria è essere ad armi pari. Ora ho deposto le mie armi. Non abbiamo vinto. Abbiamo perso. Ho perso anche io. Rimangono tante cose però. A volte basta un secondo condiviso per innescare una trasformazione. Quell’attimo c’è stato. Un attimo in cui sono stata esattamente dove volevo essere. Un attimo in cui sono stata veramente presente. Ringrazio quell’attimo. L’orchestra non suonerà per noi fili d’erba. Ma finalmente io mi sono perdonata. E ho capito che non è questione di tempo ma di tempismo. E il tempismo a modo suo è sempre perfetto. E ora riesco a leggere il senso che si nascondeva dietro questi eventi. Ho perso la casa un’altra volta. Ritorno ad essere nomade. Ma con un tesoro in più nella borsa. Ho capito di non aver più paura. E l’ho capito nel momento in cui mi sono sentita veramente disposta a rinunciare a tutto questo spazio solo mio. E ci rinuncerò a tutto questo spazio, ma lo farò al momento giusto. Per chi mai deciderà di volersi perdonare, come finalmente ho fatto con me stessa. Lo farò quando mi ritroverò dopo la danza, ad armi pari. E insieme deporremo i coltelli a terra e ci prenderemo per mano. E tra quelle due mani scorrerà in un istante tutta la vita che c’è, senza bisogno di parole per dirlo.

Stanotte io danzo.

Per tutte le volte che ho cantato. Per tutte le persone che ho incrociato e con cui per caso ho risuonato. Per ogni occasione persa. Per ogni occasione colta. Per ogni volta in cui ho avuto fiducia. Per ogni passeggiata da sola. Per ogni passeggiata condivisa. Per tutti i violini che ho preso a braccetto. Per ogni volto che ho osservato. E per ogni volto che ho scelto. Per chi ho amato. Per chi è partito e per chi è tornato. Per ogni bivio. Per tutti i momenti in cui sono stata esattamente dove volevo essere. E per tutti i momenti in cui ci sarò. Per la terra tra le dita. Per la sabbia nella borsa. Per ogni mercato ad un passo da casa. Per ogni mercato in cui ho sudato. Per ogni notte insonne. E per ogni sonno ritrovato. Per ogni musica. E per ogni fotografia. Per ogni inizio e per ogni fine.Per ogni volta in cui ho brillato. Per ogni anello che ho perso. Per tutti gli anelli che non ho comprato. Per ogni anello che mi hanno regalato. Per tutti i fogli che ho scritto. Per tutte le volte che ho avuto voglia di scrivere. Per ogni errore. Per ogni problema e per tutte le soluzioni. Per ogni scelta che ho fatto. Per ogni giudizio. Per ogni partito preso. E per tutti i partiti che ho abbandonato. Per ogni fantasia. E per ogni gelosia. Per ogni sogno. Per tutte le novità. Per ogni paura. Per ogni coincidenza. Per tutte le coincidenze che non esistono. Per ogni cambiamento. Per ogni profilo. Per tutto quel che sarà. Per me. Per noi.

Un pezzo di cielo grigio.

Ho dormito 11 ore. Non capitava da circa un anno. Mi sono svegliata gonfia di sonno e mi sento come Atlante: costretta da divinità ingiuste (o dalla sfiga decidete voi son stanca di spiegare il perché non credo nella sfiga) a sostenere un cielo carico di pioggia. Anche se non credo nella sfiga oggi mi sento comunque immersa in un fiume di nebbia nera come la pece. Capirò al momento giusto con chi o con cosa me la dovrò prendere. In questo bisogno estremo di onestà oggi mi permetto però di iniziare a chiedermi perché sto maledetto tempo sembra sempre far durare tutto troppo poco. È durata troppo poco quella fortuna lì. Quella incredibile sensazione di casa. È durata giusto il tempo necessario per aprire un cerchio argentato e poi lasciarlo lì così, incompiuto e con un instrinseco viscerale bisogno di compiersi. E Prima o poi anche questo cerchio andrà chiuso. Gli eventi dipingeranno l’altra metà della circonferenza.

Ieri invece per un giorno siamo stati pradroni del tempo. All’interno di un teatro abbiamo avuto la meravigliosa possibilità di premere a piacimento il tasto play, rewind, forward. E ognuno se l’è gestito un po’ come voleva quel tempo. C’è chi come me stava disteso sugli spalti rimanendo in contatto con il proprio cuore. C’è chi sempre come me ha messo un po’ il muso. C’è chi si è raccontato, c’è chi ha bevuto e chi ha mangiato, c’è chi ha suonato la chitarra e chi ha finto di dirigere il traffico. C’era il violino e il violoncello e c’era tra di noi quell’immagine che resta. E questo potere ce l’ha dato la mia stella speciale che continua a lasciare ovunque la sua scia come se nulla fosse mai successo. Ci siamo sedute su un divano giallo illuminato dai fari e ci siamo riappropriate di ogni prezioso momento trascorso con lei facendo finta di bere vino scadente. E per un attimo ci siamo dimenticate del microfono che invadeva il nostro spazio. Siamo rimaste solo noi. Con la nostra amica unica e le sue fotografie, con le risate e una profonda malinconia.

Sarà il tempo, saranno le resistenze che iniziano a sciogliersi dalla testa fino ai piedi, sarà il blocco del traffico e gli zoccoli dei cavalli che riecheggiano di nuovo in Via Po. Oggi ogni sfumatura è intrisa di malinconia. Me la coccolo un po’ questa sensazione. La accarezzo e la accolgo con generosità per poterla poi trasformare in qualcos’altro.

E magari la trasformerò stanotte, quando tornerò a teatro e rimarranno solo i miei occhi e un foglio bianco da riempire. E a quel punto, come Atlante forse potrò liberarmi di un pezzo di questo cielo grigio.

Dialogo tra fratelli.

“Ogni sette anni tutto muore e tutto rinasce. Ogni 3 anni si innesca il cambiamento. Ogni 7 giorni passiamo ad una fase successiva. Ok, passiamo ad una fase successiva i 7 anni li abbiamo appena superati. Tutto è già rinato. Passiamo ad una fase che si basa su un’incredibile scoperta. Ma dove vai? A chiudere la finestra. Non ti muovere per cortesia. Ascoltami. Ok…Dicevo…Amare non è ricevere dall’esterno una conferma. Perché ciò che arriva dall’esterno è fragile e volubile e ambiguo come un’immagine riflessa in uno specchio. In uno specchio ti vedi giovane, nell’altro vecchio. In uno ti vedi magro e nell’altoro grasso. Beh io ti vedo in forma! Ti ringrazio, anche io ti vedo in forma ma non dobbiamo rispecchiarci l’uno nell’altro dobbiamo guardarci dentro. Lì c’è tutto. Quindi? Parti da te stessa. Pensa a te e basta. Va bene…Guardati dentro. Cosa c’è lì? Forza. C’è paura? Stasera ce n’è molta di meno. Ho distrutto tutto un’altra volta. Oggi ho perso, sofferto, lasciato andare, stracciato, calpestato... Si sembravi l’Aida in effetti…mancava solo il coro. E ho fatto tutto da sola. Perché? Perché era la soluzione più semplice e immediata. Quale? Mettere il punto. È questa la tua incredibile scoperta amica mia. Mettere il punto era la soluzione più semplice. È sempre la soluzione più semplice perché da sola te la sai cavare benissimo. È vero. Sono passata oltre, sì, ma non ho messo un punto. Ho semplicemente capito che l’amore è un’altra cosa. L’amore se c’è te lo porti dentro e basta. Senza fatica. Aggiunge e non toglie nulla. È questa la tua scelta? Sì. Scelgo di non mentire a me stessa. E scelgo di stare bene. E cosa farai ora? Nulla. Smetterò di aspettare. Continuerò a vivere la mia vita e a pensare alla mia vita, accettando serenamente il fatto che c’è dentro di me qualcosa in più e che mi porterà nel posto migliore per me, qualunque esso sia. E per quanto tempo te lo porterai dentro? E chi lo sa. Non è questo il punto. L’importante è non farmi più la guerra. Sei più tranquilla ora? Si decisamente. Guardiamo Dexter? Guardiamo Dexter… Vino? Vino…Senti ma…Shhh! Che? Basta parlare non c’è più niente da dire sai benissimo come stanno le cose, stai serena. Ok…Cin. Cin. Fratello? Dimmi…Grazie che mi sopporti…È un piacere amica. L’Aida non la voglio più vedere però ok? Ufff…okkei…La traviata? Solo se mi fai fare il coro. Andata.”

Qualcuno che canta. Qualcuno che suona.

Oggi mi sento stanca. Nonostante questa notte io sia finalmente riuscita a dormire 6 ore di fila senza interruzioni. Forse per spirito di sopravvivenza. Forse perché la Nini si è stancata anche lei di cantare contro la luna. Forse perché ho messo in ordine la mia casa. Forse perché invece di leggere prima di dormire ho deciso di guardarmi una puntata di Dexter o perché la vicina di casa ha ricominciato a suonare il suo violino. Forse perché inizio come i gatti a ritrovare la posizione giusta per atterrare bene. Avrò pochi secondi per farlo. Per girarmi su me stessa e ritrovare l'equilibrio. E quando l'avrò ritrovato inizierò a correre. Finché non avrò smesso di crederci come ci credo ora.

http://www.youtube.com/watch?v=0zs1wOQpvlo

Un nuovo tempo.

È tutto nuovo. È qualcosa che mi porto addosso e che mi accompagna senza schiacciarmi. È qualcosa di estremamente sicuro. Un piccolo posto dentro di me dove posso rifugiarmi quando mi spavento. È sotto i miei piedi più agili. È in uno sguardo più fermo e forte. È una verdura nuova che scelgo al supermercato e che mi fa sorridere mentre la compro. Sono queste incredibili mani calde. È il mio essere estremamente presente. È tutto nuovo e tutto diverso. È la scelta di vivere questo momento con il sorriso e non come un problema. Si sta bene in questo nuovo posto dentro di me. È un luogo sincero. Spero che rimanga così.

Sweet and divine

Razor of mine.

Vieni così come sei.

Con ogni tua macchia. Con la tua insicurezza. Vieni con la tua storia e le tue rivoluzioni. Accettati in ogni sfumatura. Non dire niente se non hai bisogno di nulla. Chiedi, quando hai bisogno di una mano sul cuore. Lasciati sollevare. Lasciati stancare. Vieni così come sei, con gli occhi rossi e la testa spettinata. Raccogli le calze per terra, se ti danno fastidio e lasciale lì se vuoi prolungare il ricordo di un momento. Abbassa per un attimo lo sguardo se ti senti in imbarazzo e risollevalo appena ritrovi il coraggio. Lasciati abbracciare se non riesci a dormire. Fai quello che hai sempre fatto. Non nasconderti. Ma rivelati giorno per giorno e in ogni movimento. Accetta di continuare a crescere. Vieni così come sei. Continuando a sentirti libera. Continua a camminare senza fare rumore, in punta dei piedi e a illuminarti all’improvviso solo per chi vuoi tu. Continua a sentirti così. Profondamente felice di tutto quello che c’è e che c’è stato. E tutto andrà nel modo migliore per te. Vieni così come sei, continuando a danzare.

La Nini è diventata signorina oggi. C’è aria di primavera in questa casa.

Che c'importa del mondo.

Non cammino, rotolo, avvolta in una sottile bolla di sapone. Basta niente per farla scoppiare, eppure è ancora intorno a me. Rimbomba tutto qui dentro. E i pensieri rimbalzano e si sovrappongono come candele che fondendosi perdono la loro identità.

Mi pulisco gli occhi per cercare di vederci meglio. E ti vedo. Sei proprio ad un passo da me. Solo che sei troppo occupato a guardarmi e non ti accorgi che basterebbe sfiorarmi per far scomparire questa bolla.

E non è un’illusione è realtà. Solo che a volte ci vuole un po’ di coraggio per rompere un equilibrio.

Per un attimo tutto si ferma. Lo strato di sapone mette a tacere le convinzioni accumulate nei cocci dell’esperienza, convinzioni che tutto regolano e tutto decidono. La mia vista non è mai stata così nitida.

Sono seduta a tavola. Con la punta delle dita gioco con le briciole di pane che si incastrano tra le fessure della tovaglia ricamata. Un messaggero mi presta attenzione per un attimo. So che ogni minuto è prezioso. E che questa è un’occasione che non so quando potrà ripetersi. Me la devo giocare bene questa possibilità.

Per questo smetto di parlare. Per questo smetto di lottare e ascolto il mio messaggero perdendomi nei suoi occhi azzurri e neutri come la verità.

E per un attimo capisco tutto. Non importa quale decisione prenderò. Qualunque tappeto deciderò di alzare, qualunque armadio deciderò di aprire, se è lì che devo arrivare, in un modo o nell’altro ci arriverò. Prima o dopo. Soffrendo o godendo. Lottando o semplicemente lasciandomi andare.

Il messaggero ha finito. La bolla ricomincia a muoversi senza armonia e senza direzione.

Ora sono più forte delle voci che rimbombano dentro di me. Ora ho capito. Ora so che questa bolla si romperà. Perché so dove voglio andare.

Con tutta me stessa mi oriento in quella direzione.

Con gli occhi, con il naso, con le mani , con le orecchie.

Solo il sorriso rimane buio. È il sorriso di chi sa che può perdere tutto.

E di chi lo mette in conto, senza mai tirarsi indietro.

Mi oriento nella mia direzione con tutta me stessa.

E scopro che è la stessa che stai seguendo tu.

E improvvisamente la bolla evapora.

Mille goccioline si disperdono nel cielo,

catturando tutti i colori delle nostre convinzioni, prima di scomparire per sempre.

In due è più semplice seguire la propria direzione.

E solo la direzione potrà tenerci uniti.


Volo, voliamo, voliamoci addosso, qualunque cosa sia.


Capelli di Luna.

La panchina è sempre la stessa.
Quella dove a lungo era rimasta a guardare lontano.
Quella dove a lungo aveva atteso.
Sapeva che non avrebbe rincorso.
Questa volta. Non avrebbe lottato.
La panchina è sempre la stessa.
Gli occhi bagnati.
Ora però ha i capelli grigi.
La pelle di terra.
Ogni ruga una storia.
Un passo.
Una vita.
E lei, le ama tutte. Quelle tracce preziose.
Fra i capelli d'argento raccolti sulla nuca
Si è fermato un petalo caduto.
E lei lo sa.
Non le importa. È la sfumatura di disordine
E le appartiene.
Sorride. Dolcezza malinconica.
Gli occhi. Il viso. Il sapore. L'odore.
Per lei tutto continua a vivere.
Nitido intenso ricordo.
Ora è tutto giusto. Tutto perfetto così com'è.
Così com'è stato.
Abbassa gli occhi prima persi nei ricordi.
Lentamente apre la mano fine appoggiata sul grembo.
La guarda. Si, c'è ogni nome tra le pieghe della pelle.
Ogni carezza, ogni parola.
C'è ogni incontro, ogni lacrima ed ogni sorriso.
Ma se l'avesse saputo prima,
Che sapore avrebbe avuto tutto quanto..?
Richiude le mano e la avvicina al cuore.
E sorride. Completamente felice.
Perché la sua mano è fatta di momenti,
Che non potrà dimenticare.

Dimmi solo una cosa.

Stringo gli occhi. Li stringo per bene. Perché bruciano per il freddo, bruciano per l'alcool, bruciano perché c'è qualcosa di eterno nell'aria, qualcosa che mi fa vibrare i polpastrelli delle dita come fossero fisarmoniche. Che pensi? In realtà penso ad un sacco di cose. E sono tutte stupide e sono tutte un salto nel futuro o nel passato. E in mezzo a tutte queste stupidaggini mi viene in mente che l'unica cosa vera è che la pelle è molto più intelligente della testa. E quella è l'unica cosa che dico. Voglio godermi un istante per quello che è. In silenzio e con gli occhi che bruciano come le mani che si scongelano quando entri all'improvviso in un posto caldo dopo aver attraversato il freddo. E fanno sempre un po' male le mani quando si scongelano all'improvviso. Anche tu dici solo una cosa. Non so più niente. Nemmeno io lo so. E forse è per quello che siamo qui, così, all'improvviso, alla sprovvista, senza nemmeno avere avuto il tempo di iniziare ad avere paura. Mi sveglio con il cuore in gola. Tutto è ancora lì. Esattamente dove l'avevo lasciato. Gli stivali per terra in mezzo al corridoio. Il gatto in un sacchetto di carta abbandonato. Una bustina di moment aperta sulla scrivania. Gli occhi continuano a bruciare e mi viene da pensare che la cosa più reale delle ultime ore è stato il rumore degli zoccoli dei cavalli che rimbombavano in via Po. Mi alzo dal letto, ricomincio a vivere, con un attimo di eternità in più sotto i piedi con cui radicarmi meglio a questa terra.