A caso.

A caso. Mi distendo per terra. Da qui il nano da giardino sembra il mio migliore amico, il praticello finto un angolo di paradiso e il tappeto una striscia di sabbia. Se chiudo gli occhi il rumore del traffico può anche trasformarsi in un ruscello. A caso. Faccio la prima cosa che mi viene in mente. Mi distendo sul tappeto di casa mia. Il tempo va per conto suo. L’alba penetra di nuovo tra le fessure delle tapparelle e la rosa che ho lasciato sul tavolo sembra non voler appassire. A caso. La paura ingiustificata evapora insieme all’inverno più lungo degli ultimi dieci anni e la gatta ricomincia a dormire sul letto. La gatta è sul letto e io sono sul tappeto. E stiamo meglio entrambe. Nel cortile c’è una bici appesa in verticale che beve le gocce d’acqua che colano dai vasi per dissetarsi in attesa che io mi decida a ripararla. Abbraccio il pavimento. Abbraccio la vita. Le chiedo scusa. Aveva ragione. Dovevo fidarmi di lei. Ringrazio il pavimento. Ringrazio la vita. Vado a riparare la bicicletta. Prima però mi guardo allo specchio e sorrido. Sorrido davvero. A caso.