Quelle prime leggere parole.

Otto anni. Tra le braccia forti di un vecchio faggio leggo un libro nascosta tra le foglie. Ricordo che mi sentivo come uno dei protagonisti dei romanzi di Calvino ed ero felice. Un giorno il faggio muore. Credo che quella sia stata la prima volta in cui ho scritto per necessità. Per trasformare in parole le mie emozioni, forse con la consapevolezza che scrivendo, non avrei dimenticato. Anche se si trattava solo di un albero, ricordo gli occhi commossi della mia insegnante di italiano. Ero riuscita a trasmettere quello che sentivo. Gli anni passano e tra letterine lasciate sul cuscino e pagine di romanzi macinati non più in cima a un albero ma fra i banchi del liceo, prendo la maturità in uno degli storici e polverosi licei classici di Torino. Stranamente ero in dubbio se iscrivermi a lettere, mia grande passione, o chimica, l'unica materia per cui non ho mai dovuto studiare per avere buoni risultati. Mi iscrivo a lettere. Anche se ogni tanto mi diverto a pensare a cosa avrei fatto se fossi diventata una piccola chimica. Gli anni dell'università sono quelli delle poesie lette sotto il sole davanti a Palazzo Nuovo e dei lunghi viaggi lontano da casa. Crescere, scoprire, conoscere, innamorarmi e mettermi alla prova per poi tornare nella città che amo di più. Mi laureo e parto per Milano. Volevo scrivere. In qualche modo dovevo riuscire a fare della passione il mio lavoro. Vivere, vivere tanto e scrivere di ogni cosa vissuta e provata. Ho frequentato un master a Milano. Un anno lungo e intenso che sicuramente ha cambiato la mia vita per sempre. Torno a Torino e scopro che sono diventata una copywriter. Quasi per caso. E quasi per caso scopro che mi ritrovo a fare quello che ho sempre desiderato. Trovare una parola per ogni emozione perché per me è una necessità come dormire quando ho sonno e bere quando ho sete. E continuare a inseguire nel viso delle persone che mi leggono, la stessa luce che a otto anni avevo visto negli occhi della mia insegnante di italiano.