La tribù dei piedi neri.

Si parlava ieri di uno strano fenomeno per cui anche camminando in un campo di polvere e terra sotto un inferno di luce e di caldo, o nel fango sotto il diluvio i miei piedi e le mie infradito rimangono sempre miracolosamente lindi e immacolati. Sarà il modo di camminare si diceva. Sarà perché tu non cammini per terra, tu cammini nell’aria. Mi hanno detto. Forse è vero, nonostante il mio sia un segno d’acqua, ho uno strano rapporto con l’aria. Tutto tende verso l’aria e non solo le blatte europee. Qualche giorno fa, presa da un’improvvisa sindrome da casalinga ( essere madre mi sta trasformando in signorina), sono uscita sul balcone per bagnare le piante. Quando dico le piante uno si immagina un trionfo di glicine, viole, ibiscus e non ti scordar di me, invece no, le mie piante sono (erano): un vaso di gerani ereditato dal precedente inquilino, un rosmarino morto ereditato dal precedente inquilino, una salvia morta ereditata dal precedente inquilino, una piantina di menta e una di basilico, gentile presente della mamma. Sono uscita sul mio balcone, ho sorriso al giorno che nasceva, ho abbassato lo sguardo e ho iniziato a borbottare come un burbero giardiniere vedendo la miseria di quelle povere piante. Poi ho pensato che l’unica cosa da fare fosse tentare disperatamente di salvare il basilico. Lo bagno ancora, deve rinascere, almeno lui ce la deve fare. Ho preso il vasetto con il basilico e mi sono affacciata su via Po per far scorrere l’acqua nella grondaia. Io non so come sia potuto accadere, il perché ho smesso di chiedermelo da un sacco di tempo, fatto sta che il vasetto mi è inaspettatamente scivolato dalle mani. E con le stesso senso di impotenza di quando avevo ricevuto la simpatica visita dello scarafone sono rimasta pietrificata a guardare il mio basilico spiccare il volo, mentre il vasetto si staccava dalla terra e le foglioline si agitavano nel vuoto in preda ad un precoce attacco di sintesi clorofilliana. Solo quando ho sentito un rumore sordo e minaccioso provenire dal basso sono riuscita a riemergere dalla mia immobilità e come una ladra, ho strisciato per rientrare in casa e nascondermi dietro le persiane. Mi sono seduta sul divano e ho atteso. Nessuna ambulanza, niente urla, silenzio. Codarda, ho tergiversato per ritardare la mia uscita, temendo di trovarmi un carabiniere fuori dal portone pronto ad arrestarmi o a farmi domande per risalire all’inquilina del quarto piano o di imbattermi in una signorina svenuta in una passata di sangue e basilico fresco. Invece quando sono uscita, occhiali scuri e foulard in testa, (non è vero ma mi sono immaginata così in quel momento) tutto era tranquillo. Il solito ubriacone che si siede accanto al bancomat della Unicredit per fare leva sul senso di colpa di chi entra a ritirare soldi. Il solito signore che costruisce le marionette che stava iniziando ad allestire il suo banchetto. Il solito tabacchinaro siculo che puliva per terra pronto a vigilare sulla mia bicicletta perché lui sa bene che per rubare le biciclette basta un attimo. Scomparsi. La mia piantina e il suo vaso si sono volatilizzati in quel vuoto surreale che circonda casa mia. Ho provato ad indagare con malcelato disinteresse ma nessuno mi ha saputo dire nulla. Ora ho circondato la superstite piantina di menta con il filo spinato per salvarla a tutti i costi, da me stessa e dalla Nini, dal momento che ho scoperto che i gatti se solo ne assaggiano una foglia sono capaci di distruggere una casa intera pur di averne ancora (dei veri tossici sti gatti). E ho scoperto anche un’altra cosa, a mia insaputa i miei genitori, ai tempi, hanno pensato fosse cosa buona e giusta farmi l’assicurazione per la casa. E allora mi dico: forse il legame tra la mia tendenza a lanciare oggetti/esseri viventi/vegetali dal balcone e il fatto che ho i piedi sempre puliti dipende davvero dall’aria, quella di cui in questo momento ha palesemente, drammaticamente bisogno la mia povera testolina.