Attività mentale che si svolge grazie al cielo solo durante il sonno, caratterizzata da impressioni visive degne di una tragedia greca, sensazioni e pensieri non coordinati tra loro logicamente ma esprimenti tutte le parti di me, anche quelle che non sopporto. Voci, quelle che ho chiuso in un cassetto così profondo che si apre solo quando dormo. Ermytage è la fase in cui il cassetto si apre e le immagini vengono liberate. Di Anna Ponti.
La prima pagina del romanzo.
Il cielo è terso, i dettagli sono nitidi perfetti, immobili. All’inizio è un semplice soffio di vento. Le foglie sugli alberi iniziano a tremare cercando di lanciarci un segnale che non vogliamo vedere. Poi arrivano le nuvole bianche che subito diventano nere e si gonfiano, convulse, come polmoni pieni di catrame. Infine arriva la pioggia e noi siamo lì ancora distesi sul prato, come se ci fosse ancora il sole e quell’acqua gelida, sporca, carica di polveri sottili ce la prendiamo tutta. In testa, negli occhi, sul naso. È così che tutto cambia in una manciata di secondi. Basta un istante e tutti gli equilibri si rompono e un giorno ti svegli e non sai più chi sei, e non sai più quello che vuoi. Luigi aveva la vita che si aspettava ed era proprio il fatto di conoscerla così bene a rassicurarlo. Stava frequentando il secondo anno dell’università di Filosofia, non si era mai allontanato da casa, aveva una fidanzata, Caterina, con cui stava insieme dai tempi del liceo, degli amici con cui condividere una volta alla settimana una partita a calcetto, i concerti, gli aperitivi nei locali giusti e le lasagne della mamma la domenica. Non sapeva che cosa avrebbe fatto dopo l’università e non gli importava. E andava tutto bene così. Gli andava bene così. Non desiderava altro o forse non desiderava nulla.
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