La lampada di Biancaneve.

Ho preso una scossa. Ho provato ad attaccare la spina di una lampada ad una presa all’interno di una casa vecchia, in montagna, di quelle che sanno di muschio e di brace, dove batuffoli di polvere si accumulano negli angoli e dove si nascondono oggetti che ricordano la strega di Biancaneve. La polvere mi entrava negli occhi e l’aria asciutta mi faceva pizzicare il naso. M;a ero affascinata da quella lampada a forma di candela. Sembrava proprio una di quelle candele bianche lunghe che una volta accese creano gocce di cera perfette. Mi piaceva così tanto quella candela perfetta che mi è venuta voglia di accenderla, sperando di vedere la cera sciogliersi e di poterci pucciare la punta delle dita per creare sottili sfoglie bianche con sopra impresse le linee delle mie impronte digitali . La presa era difettosa e mi sono presa una scossa. Sembrava proprio una scena da cartone animato tipo Tom&Jerry. Mi sono immaginata trasparente con le ossa dello scheletro fosforescenti. Non credo di essere diventata trasparente ma sicuramente mi sono venuti i capelli dritti e pure un gran mal di testa. Quella casa apparteneva ad una mia compagna delle elementari che aveva deciso di portarmi n vacanza con lei e la sua famiglia. Da bambina ossessionata dalla volontà di essere perfetta, come le gocce di cera, mi sono vergognata moltissimo per il fatto di aver voluto, senza permesso, inserire la spina di una lampada in una presa e per questo non ho detto nulla a nessuno.

Sono corsa giù per le scale con i capelli dritti e ho fatto finta di niente. Ho nascosto per bene anche il mio mal di testa e nessuno ha notato il pallore causato dal mio spavento. Ne sono cambiate di cose da allora. Ad esempio ho imparato a dire “ahia!” quando mi faccio male e a perdonarmi con serenità quando mi capita di sbagliare. Di solito però ahia lo dico quando il dolore è già passato, quando ho già smesso di aver bisogno di aiuto, di una carezza o di un semplice abbraccio. Ho trovato e sperimentato diversi modi per esprimere il dolore e devo dire che le persone che mi conoscono e che mi vogliono bene davvero hanno imparato a riconoscerli tutti. Nell’ultimo anno ho preso un’altra scossa. In realtà sono state tante scosse che una sommata all’altra hanno creato un vero e proprio corto circuito. Anche in questo caso, qualcuno se n’è accorto qualcun altro invece no. Sicuramente me ne sono accorta io, quando ho smesso di ridere e quando ho smesso di correre. Allora la scossa mi aveva insegnato a non giocare con le prese e mi aveva fatto capire che le raccomandazioni dei genitori non erano poi tutte false. Le ultime scosse invece mi hanno insegnato qualcosa di più. Mi hanno insegnato a credere di più in me stessa e mi hanno fatto capire che anche se a volte rimaniamo elettrizzati dalla vita questo non fa che renderci più belli. Oggi mi sento di nuovo padrona del mio sguardo e fiera delle mie insicurezze. E tutte queste scosse non hanno fatto altro che rianimare un cuore in letargo, un cuore che si è risvegliato con una nuova pretesa, quella di voler sorridere e di voler giocare di più. Per questo oggi sorrido e gioco con la vita, regalando un libro ad uno sconosciuto e aprendomi, finalmente senza paura a nuovi sentimenti. E ancora una volta mi commuovo nel rivedermi bambina e mi abbraccio con tutta la forza che ho, sapendo che l’acqua che scorre in ogni parte di me mi porterà ad essere sempre più libera e che in questa incredibile ricerca la vita continuerà a farmi prendere piccole o grandi scosse per riportarmi nella direzione giusta.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ah ecco perché ti sono tornati i capelli ricci! E per fortuna hai ricominciato a scrivere....