Il bancomat nuovo e la scossa di terremoto.


Oggi mi sono svegliata con questa certezza. Qui c’è un sacco di gente che vorrebbe il terremoto. Si si, qui a Torino. E questa gente è ovunque, è accanto a noi, sul tram, al supermercato. Si ti vedo, sei tu, vecchiettina maledetta. Seduta sul tuo divano di velluto bucato dalla brace della pipa del tuo defunto marito, dietro i tuoi occhiali tempestati di brillanti ingialliti dal tempo nascondi due occhi che non vedono l’ora di poter gridare aiuto. Senza scomporti troppo però. La pettinatura deve sopravvivere, anche ad un terremoto. “Una scossa! Eccola! L’ho sentita era una scossssa!”. Anche se è stato il tram che come tutti i giorni alla stessa ora le ha fatto tremare le sue abbondanti chiappe, la nobil donna piemontese corre verso il telefono per chiamare sua figlia e dirle che ha appena sentito il terremoto. Strano che la sua preoccupazione non sia invece stata quella di correre in strada per mettersi in salvo se davvero è convinta di aver sentito una scossa. Non è il terremoto in sé ad essere desiderabile ma il gusto per le calamità naturali, il gusto per quegli eventi collettivi che sconvolgono per forza di cose la routine e la quotidianità di un ampio gruppo di persone. Si perché una tragedia individuale non è la stessa cosa di una tragedia che si può condividere. Anche perché in una tragedia collettiva rimane comunque sempre quella percentuale di probabilità di non essere proprio colpiti direttamente e di conseguenza di avere un sacco di telefonate da fare e di cose da dire. E questo desiderio, inconsapevole (se chiedessi una conferma della mia tesi a quella vecchietta maledetta probabilmente mi tirerebbe in testa la sua borsetta di coccodrillo) nasce dall’umano, universale bisogno di sentirsi vivi. E ognuno ha il suo modo per sentirsi vivo. Desiderare un terremoto lo ritengo un metodo discutibile ma tant’è. È lo stesso motivo per cui io ogni tanto devo fare qualche cazzata. Piccole cazzate, che se proprio non rappresentano una dimostrazione particolarmente elevata della mia esistenza sulla terra per lo meno mi rallegrano le giornate e che sommate una all’altra sicuramente fanno di me una gran rincoglionita. E me le rallegrano perché preferisco riderci su perché volendo potrei farmi un piantino o flaggellarmi a ripetizione. Sono sempre scelte d’altronde. Ultimamente di cazzate ne ho collezionate una serie. Nel giro di pochissimo tempo mi è caduto uno dei miei anelli preferiti nel lavandino di un ostello che puzzava di fogna, e non ho fatto una piega perché mi capita talmente spesso che ci ho fatto l’abitudine e ho pensato che dovesse essere un buon motivo per tornare finalmente in quel posto dove me l’avevano comprato e dove devo tornare da tre anni e non ci sono ancora tornata. Ho perso per un mese la carta d’identità e non me n’ero accorta, me ne sono accorta perché l’altra sera mia madre mi ha detto “tieni, devo darti una cosa” e mi ha messo in mano la mia carta d’identità e ci ho messo un attimo a capire perché la mia carta d’identità non fosse nella mia borsa dentro il mio portafoglio. Ho passato  due giorni a cercare un’agenda che mi sono comprata perché mi piaceva tantissimo perché fuori è fatta come se fosse una bibbia e dove sto cercando di scrivere il mio vangelo, per poi ritrovarla in fondo ad uno  zaino dopo aver finalmente fatto le pulizie, e sentirmi per un attimo felice prima di dimenticarmi che cosa ci volessi scrivere. Ho perso il cellulare per mezza giornata, mandato uno sconfinato elenco di mail a tutti gli amici e i parenti per avvisarli della triste perdita e perché nessuno si preoccupasse se non rispondevo e ho poi scoperto che il cellulare era semplicemente dove doveva essere, nella mia borsa in mezzo a palline di scontrini del 2008 e cicles che non ho avuto cuore di buttare per terra perché rispetto la natura e soprattutto le suole altrui,  e che per questo, quando hanno perso il loro favoloso succoso gusto, li ho accuratamente appallottolati negli scontrini del 2007. In questo momento posso anche immaginare che qualcuno piuttosto che fare le cazzate che faccio io preferirebbe sentire una scossa di terremoto. Io invece oggi mi sento fortunata di essere nata in Piemonte e non in Abruzzo. Perché nonostante le cazzate che faccio sono viva, sto bene, ho una casa, un lavoro  e soprattutto non ho perso nessuno. E forse questo è ciò che si dimentica la vecchietta quando trascina il suo grande culo verso il telefono gridando aiuto. Che queste calamità, queste tragedie dovrebbero solo farci alzare con il sorriso e ricordarci che la vita è preziosa sempre e merita rispetto.E soprattutto che esistono soluzioni più felici per sentirsi vivi dell’inconscio desiderio che arrivi un terremoto.

 

Ultima cazzata. Da un mese il bancomat mi fa ritirare i soldi solo nella mia banca e non nelle altre. Mi dicono che la carta non è abilitata. La cosa più ovvia sarebbe stato ovviamente chiamare la banca. Ma non l’ho fatto. E l’altro ieri mi è arrivato (cioè è arrivato a casa dei miei perché la banca non si fida a mandarmi le lettere nella mia nuova residenza) un nuovo bancomat. Solo che ora non so che farci con questo nuovo bancomat. Ma per fortuna domani sono in vacanza e magari prendo la bici e vado in banca.

1 commento:

Doña Inés ha detto...

Ho avuto una precisissima e nitida visione della vecchietta e di tutto il resto.
Hai il potere di farmi pensare cose che non mi appartengono, o forse mi appartengono e sono talmente idiote che non voglio neppure che mi passino per il cervello.
Mah...si, ci sono davverò persone che aspettano una calamità naturale, una qualsiasi, per essere, anche solo per un pò al centro dell'attenzione del loro piccolo mondo.