Ricordi di settembre 2008.

Sono le sette del mattino. Reduce da dieci ore di pulman senza sonno accanto ad un francese che mi russa nell’orecchio. Mi diverto a guardare la posizione della gente mentre dorme. Una testa penzolante, una fronte schiacciata contro un finestrino, le ginocchia tirate su che spingono il sedile davanti. Quando apro la tendina blu spessa e puzzolente mi abbaglia il primo raggio di un sole che mi riscalderà il sangue per tutta la vita. Arrivo in spiaggia. La sabbia è così bianca che mi acceca. Sole nel cielo, sole per terra, sole sottacqua. Guardo l'oceano e ho pensato come forse hai pensato tu la prima volta che ci sei arrivato, di aver trovato il paradiso. C’è pocchissima gente. Mi dicono che è tutto pieno ma io non vedo nessuno. Solo dopo qualche giorno inizio a capire che qui i ritmi sono solitari e silenziosi. È il corso della luce e la corrente del mare a regolare il nostro respiro. Conosco te. Sento qualcosa. È ancora inconsapevole, inafferrabile, non ha nome e non ha una definizione. È uno sguardo. È la pelle che anche solo sfiorandosi per sbaglio si riconosce subito. Ce ne sono pochi di incontri come questi nella vita. Sono quelli che bruciano così intensamente e con così tanta forza da lasciare un meraviglioso segno indelebile dentro di noi e che spesso, con la stessa rapidità con cui si accendono, con la stessa, si spengono. Appena mi tolgo gli occhiali scuri e lascio che tu veda i miei occhi ho pensato “ecco, questo è un altro incontro dell’anima”. E nel momento in cui ci siamo visti ci siamo anche persi. Uno nell’altro. Poi dal paradiso cado dritta nell'inferno. Quello del dolore di una perdita, dello spavento di fronte alla morte, della paura e di un incubo che ritorna e che ora capisco, non si può pretendere di non vivere mai più. Una persona che un giorno c'è e il giorno dopo non c'è più. Ed è così inaspettato che ancora oggi ogni tanto credo che la mia amica debba tornare dalle vacanze. Prima o poi. O forse, semplicemente, rimarrà in vacanza per sempre. Ma in quel momento ho sentito le urla dell’infinto. Urla che non si cancelleranno mai. E tu mi raccogli, in un abbraccio, mi tieni su con la punta delle dita quando sono ad un centimetro dalla sabbia. Tu ci credi nel fatto che in un abbraccio ci possa essere già tutto quanto? Tutto il passato e il futuro? Io ci credo. Nonostante tutto. Io ci credo. Solo che la vita non è solo aria la vita è anche umida. Quel giorno ti sei preso cura di me. Ma non c'è stato solo pensiero, c'è stata la nostra pelle che oltre a riconoscersi ha iniziato a provare un doloroso bisogno reciproco. Quel bisogno che ti fa dire, “ho sete”. Sempre più sete. E in quel momento, mi sono chiesta come fosse possibile provare dolore, amore, passione, tristezza, felicità nello stesso istante. Ed c’era così tanto dentro di me che ho smesso di parlare. Ed c’era così tanto dentro di me che non ho potuto fare a meno di accettare. Tutto. E quando un giorno mi hai detto "è stata una settimana difficile". In quel "difficile" ho capito che tu avevi sentito insieme a me esattamente tutto quello che avevo sentito io. E mi sono chiesta cosa ci fosse di reale in questo dolore e in questa felicità. Perché molte volte nella vita ho sentito tutto con una tale intensità, da sentire per due. E nel momento in cui mi sono spenta per un attimo...non è rimasto più nulla. Tu cos'hai sentito oltre a quello che ho sentito io? Ma forse non mi importa saperlo. Perché tutto quello che ho sentito è reale per il semplice fatto che l'ho sentito. Perché so chi sono. E che qualsiasi sentimento prezioso è per sempre. Anche quando ad un certo punto rimane solo un ricordo. Ora non vedo solo magia ma vedo anche la terra e la sua umana umidità. E mi piacerebbe tanto ora vederla anche con i tuoi di occhi la nostra realtà. Perché mi mancano, i tuoi occhi. Perché voglio difendere i miei bei ricordi. E perché le parole a volte aiutano a sentirsi più vicini. E so che se sono partita pensando di trovare qualcosa…Così è stato. Perché ho trovato una grande lezione. Quella di imparare ad accettare.

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